VENERDì 8 LUGLIO: ALBERTO LEONI RACCONTA L’ASSEDIO DI FAMAGOSTA

Nel pieno dell’estate del 1571, dalle fortificazioni ormai ridotte a brandelli dal fuoco dei cannoni ottomani, qualcuno sventola una bandiera bianca in direzione del campo nemico. Per ordine dei capitani della Serenissima si decide di chiedere una tregua per discutere le condizioni di resa. Marcantonio Bragadin, rettore di Famagosta, ha deciso di cedere alle sollecitazioni del suo consiglio di guerra. La sperata flotta di soccorso non ha mai raggiunto le acque cipriote, le fantesche degli italiani mancano del necessario per continuare il combattimento e quel che resta della popolazione civile è ormai ridotta allo stremo dagli orrori della guerra. È stato uno scontro spietato, protratto oltre il limite dell’umana sopportazione, un duello estenuante che ha reso monche entrambe le armate; lo stesso Lala Pascià ha dovuto seppellire il proprio figlio in vista dei bastioni. In breve tempo vengono firmati gli accordi, giurati sui rispettivi testi sacri, e si procede all’evacuazione degli armati. Il dettaglio della resa, dopo elaborate trattative, concede ai difensori di essere imbarcati su galee turche e fare vela verso Creta mentre la popolazione civile sarà rispettata e non si procederà all’usuale saccheggio dell’abitato. Ma qualcosa va storto. Bragadin e il comandante sultanale paiono intendersi poco e piacersi pure di meno. Alla cerimonia di consegna delle chiavi cittadine è registrato un aspro diverbio tra i due e il provveditore è messo in catene mentre il suo seguito viene decapitato. È solo l’inizio di un calvario di crudeltà senza nome, di un supplizio mostruoso destinato a protrarsi per altri 10 giorni, di un orrore che getterà nel fango l’onore della Sublime Porta e nello sgomento i popoli cristiani.

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