C’è aria di festa a Varsavia, sul finire dell’estate del 1759. Un salva di cannone è stata sparata dal castello nell’aria frizzante del mattino, annunciando al popolo l’imminente arrivo nella capitale di un elegante cavaliere. Più tardi, nella superba cornice barocca della collegiata di San Giovanni Battista, egli, il tanto atteso ospite, il giudeo Jakub Lejbowicz, procedendo solennemente sotto la navata centrale della chiesa, stipata di uomini illustri e di grandi nomi, si accosterà alla fonte battesimale per essere accolto a pieno titolo nella comunità cristiana. Il suo padrino, rappresentato dallo starosta di Bratkowski, è nientedimeno che lo stesso re di Polonia, Augusto III. Agli occhi del popolo questo è l’atto finale, la nota più alta, di un sofferto cammino di redenzione che ha portato buona parte della comunità ebraica polacca ad abbracciare la croce e a rinnegare le tradizioni rabbiniche. Tuttavia, neanche 6 mesi dopo il suo ingresso trionfale in città, questo mercante di tessuti sarà arrestato, giudicato dal tribunale dell’Inquisizione, condannato per eresia e imprigionato nel monastero di Czestochowa, gettando la Polonia intera nella costernazione. Eppure la storia di Jacob Frank è ben lungi dal potersi dire conclusa.
